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Pina Lalli: “L’amavo così tanto che l’ho ammazzata: il malinteso senso dell’onore e dell’amore”
Venerdì 10 febbraio, il Soroptimist Club di Palermo ha invitato Pina Lalli, ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università Alma Mater Studiorum di Bologna, a tenere una conferenza dal titolo “L’amavo così tanto che l’ho ammazzata: il malinteso senso dell’onore e dell’amore”, nei locali della Fondazione Giuseppe e Marzio Tricoli.
Alessandra Dino, associato di Sociologia giuridica, della devianza e del mutamento sociale presso l’Università di Palermo, ha presentato la professoressa Lalli, di cui è stata la prima allieva, e ha introdotto il tema, sottolineando come la violenza sulle donne sia un fenomeno che vede le donne insieme vittime e complici della violenza stessa. Una certa cultura è talmente radicata che le donne “apprendono” la loro minorità e, semmai, per farsi strada, rinunciano alla loro identità. Emblematico è il caso di Giusi Vitale, sorella di boss mafiosi, che è stata addirittura a capo di un mandamento, e quindi assumendo atteggiamenti maschili, ma che era regolarmente vittima delle prepotenze del fratello.
Pina Lalli, dopo aver ricordato, commossa, gli anni trascorsi all’Università di Palermo, ha puntato l’attenzione sul fatto che non è detto che siano aumentati i casi di violenza e di femminicidio ma adesso se ne parla di più. Bisogna vedere come se ne parla. Mentre prima la violenza domestica era un fatto privato e il “delitto d’onore” era giustificato dalla legge, ora la legislazione è cambiata ma ci vuole tempo per scardinare le radici simboliche che hanno portato a considerare l’onore dell’uomo una sorta di tabù, giustificato dalla patrilinearità della nostra società. L'amore non è violenza né dominio ma compartecipazione e fonte di gioia.
Uno studio condotto dal gruppo dell’Università di Bologna diretto dalla professoressa Lalli ha esaminato la visibilità che i fenomeni di violenza domestica hanno avuto sui principali quotidiani nazionali e su quelli locali. Emerge che solo l’1 o il 2% di uccisioni avvengono da parte delle donne, mentre le donne sono vittime nella stragrande maggioranza dei casi, e per il 60% da parte del partner e il 35% da parte di familiari o conoscenti. Tali dati contrastano con gli insegnamenti materni di “guardarsi dagli sconosciuti”. Il giornalista che fa cronaca deve usare una attrezzatura simbolica condivisa dal lettore e, quindi, trovano grande risalto i casi di violenza in ambienti come quelli degli islamici (altra cultura) o degli emarginati (tossicodipendenti ecc.).è come se si dicesse che “a noi non può succedere. Il problema nasce quando si tratta, per esempio, dell’avvocatessa uccisa dal marito o della studentessa uccisa dal fidanzato. Allora scatta un meccanismo perverso per cui la polizia o la magistratura non hanno fatto abbastanza, la donna non è stata particolarmente prudente. La violenza sulle donne è ancora giustificata in modo implicito.
Non è facile scardinare dall’interno la relazione uomo-donna: le donne e gli uomini debbono ricostruire una relazione che rimane differente e uguale. Si tratta di rielaborare le relazioni sociali nel modo in cui le viviamo e le raccontiamo. Le fiction possono servire nella misura in cui forniscono una informazione indiretta ma veicolata dalla fidelizzazione e dalla rappresentazione.
Al termine della conferenza, sia Pina Lalli sia Alessandra Dino si sono fermate a rispondere alle domande del pubblico fortemente coinvolto e a conversare sull’argomento anche durante l’aperitivo, generosamente offerto dalla soroptimista Mirella Falzone, vice-presidente della Fondazone Tricoli.